Stato dell’arte del Quantum Computing in Italia a oggi

Quando si parla di quantum computing, la mente corre subito a laboratori ultratecnologici, cubi di vetro contenenti strani dispositivi a temperature vicine allo zero assoluto, e a nomi come Google, IBM o D-Wave. Tuttavia, anche in Italia, il settore del calcolo quantistico sta vivendo una fase di fermento crescente, fatta di ricerca, investimenti pubblici e collaborazioni tra università, enti di ricerca e aziende. Non siamo ancora tra i Paesi leader a livello globale, ma qualcosa si sta muovendo — e non è poco.

Il quantum computing, per chi si affaccia da neofita a questo mondo, è un paradigma completamente diverso da quello dei computer tradizionali. Invece di lavorare con i bit classici, che possono essere 0 o 1, i computer quantistici usano i qubit, che possono esistere in sovrapposizione di stati. Questo permette, almeno in teoria, di affrontare certi problemi computazionali con una velocità inarrivabile per l’informatica convenzionale. E sebbene le applicazioni pratiche siano ancora in fase embrionale, la posta in gioco è altissima: simulazioni molecolari per nuovi farmaci, ottimizzazione di reti logistiche, crittografia di nuova generazione, e molto altro.

Per approfondire
A differenza dei computer tradizionali, che utilizzano impulsi elettrici per rappresentare i bit attraverso il passaggio o meno di elettroni in un circuito, i computer quantistici si basano su fenomeni della meccanica quantistica, utilizzando sistemi fisici molto diversi per rappresentare i qubit. Al posto degli elettroni che attraversano transistor in silicio, un computer quantistico può impiegare atomi, ioni, fotoni o circuiti superconduttori raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto. Questi elementi fisici vengono manipolati in modo da sfruttare le proprietà quantistiche come la sovrapposizione e l’entanglement. Per esempio, nei computer quantistici a superconduttori, uno dei sistemi oggi più sviluppati, si usano minuscoli circuiti in cui la corrente può fluire contemporaneamente in due direzioni opposte — una condizione impossibile in elettronica classica. In quelli a trappole di ioni, invece, si utilizzano atomi caricati elettricamente sospesi nel vuoto e controllati con fasci laser. Altri approcci usano fotoni, cioè particelle di luce, per codificare l’informazione quantistica attraverso la loro polarizzazione. Tutti questi sistemi hanno un compito comune: isolare e controllare i qubit abbastanza a lungo da poter eseguire calcoli prima che interferenze esterne li facciano decadere, un problema noto come decoerenza. Il cuore della potenza di calcolo di un computer quantistico non sta tanto nella velocità con cui compie operazioni singole, ma nella capacità di rappresentare ed elaborare simultaneamente un’enorme quantità di stati possibili. Questo permette, in certe classi di problemi, di superare i limiti strutturali del calcolo classico, aprendo scenari del tutto nuovi nel campo della simulazione, dell’ottimizzazione e della crittografia. Naturalmente, tutto questo richiede un ambiente estremamente controllato e tecnologie sofisticate che al momento rendono questi dispositivi ancora molto delicati e costosi, ma il principio su cui si basano è straordinariamente potente: usare le leggi fondamentali della natura per elaborare informazioni in modo completamente nuovo.

In Italia, la ricerca accademica è uno dei motori principali di questo sviluppo. Università come il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma, il Politecnico di Torino e l’Università di Pisa stanno formando nuovi esperti e conducendo progetti di ricerca avanzata in collaborazione con enti come il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Inoltre, istituzioni come il CINECA e il Centro Nazionale HPC, Big Data e Quantum Computing, nato nell’ambito del PNRR, stanno consolidando l’infrastruttura nazionale per il calcolo ad alte prestazioni, con un’attenzione crescente verso il quantistico.

Dal punto di vista industriale, alcune realtà italiane stanno cominciando a esplorare attivamente le opportunità offerte dal quantum computing. Parliamo di aziende che lavorano in settori come l’automotive, la chimica, l’energia e la finanza, interessate soprattutto alla possibilità di utilizzare algoritmi quantistici per l’ottimizzazione e la modellazione. Anche startup e spin-off universitari stanno nascendo attorno a queste tecnologie, spesso in sinergia con i programmi europei di ricerca e innovazione.

A livello politico, l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo all’interno della strategia europea per il calcolo quantistico. Partecipiamo ai programmi promossi dalla Quantum Flagship dell’Unione Europea e, più recentemente, sono stati annunciati fondi significativi destinati al rafforzamento della ricerca e della formazione in questo ambito. Il PNRR, con la sua componente per la digitalizzazione e l’innovazione, ha rappresentato una spinta importante anche per questo settore.

Non possiamo nascondere che la strada da fare è ancora lunga. I computer quantistici attualmente disponibili sono ancora instabili, costosi e accessibili solo a una ristretta cerchia di ricercatori. In questo senso, il quantum computing oggi è un po’ come l’informatica degli anni Cinquanta: promettente, affascinante, ma ancora lontana dall’essere “mainstream”. Tuttavia, il fatto che anche in Italia si stiano ponendo le basi per una crescita solida e duratura è un segnale incoraggiante.

Il vero punto di svolta, probabilmente, sarà culturale: riuscire a formare una nuova generazione di sviluppatori, ricercatori e professionisti capaci di dialogare con questo paradigma del tutto nuovo. Non si tratta solo di capire la fisica quantistica, ma anche di sviluppare nuove competenze informatiche, nuovi linguaggi di programmazione e nuovi modelli matematici. In questo senso, iniziative di divulgazione, corsi universitari e bootcamp specializzati stanno già cominciando a proliferare, anche in lingua italiana.

In definitiva, il quantum computing in Italia non è più solo un tema da conferenze specialistiche: è un campo in espansione, con un potenziale enorme e un ruolo sempre più concreto nel futuro della tecnologia nazionale. Non sarà una rivoluzione immediata, ma è una partita a cui l’Italia vuole — e può — partecipare.

Un ruolo importante nell’ecosistema italiano del quantum computing lo gioca CINECA, il consorzio interuniversitario che gestisce alcune delle infrastrutture di calcolo più potenti d’Europa. Negli ultimi anni, CINECA ha iniziato a integrare risorse dedicate al calcolo quantistico accanto ai tradizionali supercomputer, favorendo lo sviluppo di piattaforme ibride in cui algoritmi quantistici e classici possono cooperare. Questo approccio è particolarmente utile nella fase attuale, in cui i computer quantistici non sono ancora in grado di sostituire quelli tradizionali, ma possono comunque offrire vantaggi specifici in certi ambiti di calcolo. CINECA, in collaborazione con università e centri di ricerca, partecipa a progetti di sperimentazione e accesso remoto a dispositivi quantistici, contribuendo a creare un ambiente concreto in cui ricercatori italiani possono sviluppare, testare e validare algoritmi quantistici su architetture reali. Non si tratta solo di fornire potenza di calcolo, ma anche di abilitare un ecosistema sperimentale utile alla ricerca applicata e alla formazione avanzata.
Un esempio di eccellenza tutta italiana in questo ambito è rappresentato da ALMA-Q, il centro per l’informazione e la computazione quantistica dell’Università di Bologna. ALMA-Q è un punto di riferimento nel panorama nazionale per lo studio teorico e sperimentale dell’informatica quantistica, con un approccio multidisciplinare che coinvolge fisici, matematici e informatici. Il centro si occupa di sviluppare algoritmi quantistici, architetture hardware e modelli di comunicazione quantistica, promuovendo al contempo attività di formazione e collaborazione con enti di ricerca internazionali. Accanto ad ALMA-Q, anche altri dipartimenti universitari italiani stanno portando avanti ricerche concrete in questo settore. Ad esempio, il gruppo di informazione quantistica dell’Università di Pavia, attivo sia sul fronte teorico sia sperimentale, lavora su tematiche come la crittografia quantistica e le reti quantistiche. Il Politecnico di Torino, invece, è coinvolto in progetti di progettazione di circuiti quantistici e simulazioni su piattaforme ibride classico-quantistiche. Anche l’Università di Padova e l’Università di Trento stanno investendo in laboratori dedicati, collaborando spesso con enti europei e con il mondo industriale per portare avanti sperimentazioni concrete su algoritmi e dispositivi. Queste realtà dimostrano che l’Italia sta costruendo, passo dopo passo, una solida infrastruttura scientifica per affrontare la sfida del calcolo quantistico, non solo dal punto di vista teorico, ma anche e soprattutto sul piano sperimentale.

Guardando al futuro, è evidente che il quantum computing non sarà una rivoluzione che accadrà da un giorno all’altro, ma una trasformazione graduale, fatta di ricerca paziente, formazione avanzata e collaborazione tra pubblico e privato. L’Italia, pur con le sue sfide strutturali, sta dimostrando di voler essere parte attiva di questo processo. I centri di ricerca come ALMA-Q, le università che investono in laboratori sperimentali e l’attenzione crescente delle istituzioni sono segnali chiari di una consapevolezza che si sta facendo spazio. Se sapremo mantenere alta la qualità della ricerca e investire nella formazione delle nuove generazioni, potremo non solo utilizzare le tecnologie quantistiche del futuro, ma anche contribuire a crearle. In un mondo che corre verso l’informatica del domani, anche l’Italia sta trovando il suo spazio nel paradigma quantistico.

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